LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 49/97 e 1372/96 proposti dalla S.r.l. Graniti Sassomare in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dal rag. Egidio Pavan, contro l'avviso di accertamento n. 18/96 dell'ufficio delle imposte dirette di Domodossola e del provvedimento di rigetto della proposta di accertamento con adesione per gli anni 1988-89-90-91-92-93. F a t t o Con ricorso datato 12 febbraio 1997 la S.r.l. Graniti Sassomare ha impugnato l'avviso n. 18/96 con il quale l'ufficio delle imposte dirette di Domodossola ha accennato, per l'anno di imposta 1988, redditi imponibili ai fini Irpef ed Irpeg di L. 2.379.525.000 in luogo dei denunziati L. 36.765.000. Con separato ricorso depositato in segreteria il 1 agosto 1996 la S.r.l. Graniti Sassomare ha altresi' impugnato il provvedimento 6 giugno 1996, protocollo n. 6/3-A con cui l'ufficio delle imposte dirette di Domodossola ha dichiarato nulle le proposte di accertamento con adesione formulate dalla predetta societa' in relazione agli anni di imposta 1988-89-90-91-92-93 perche' in contrasto con la legge n. 656/1994. Entrambi i ricorsi sono stati riuniti con provvedimento presidenziale del 14 aprile 1997. In particolare l'ufficio delle imposte ha motivato il provvedimento 6 giugno 1996, protocollo n. 6/3-A premettendo che "ai sensi dell'art. 2-bis, comma 2 del decreto-legge n. 564 del 30 settembre 1994, convertito in legge n. 427 del 18 ottobre 1995, la definizione della rettifica delle dichiarazioni non e' ammessa quando sulla scorta degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell'ufficio e' configurabile l'obbligo di denuncia all'autorita' giudiziaria per i reati di cui agli artt. 1, comma 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge n. 429 del 10 luglio 1982, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 516/1982 o quando, per i medesimi fatti, risulti essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o risulti avviata l'azione penale" ed osservando, in relazione alla fattispecie, che dal verbale 14 ottobre 1995 della Guardia di finanza di Baceno risultava che nel corso di indagini di p.g. era stata inoltrata alla procura della Repubblica di Verbania comunicazione di notizia di reato a carico della S.r.l. Graniti Sassomare per i delitti di cui all'art. 4, comma 1, lettera f) del decreto-legge n. 429 del 10 luglio 1982, convertito dalla legge n. 516 del 7 agosto 1982. Sostiene la ricorrente che l'art. 2-bis, comma 2 del decreto-legge n. 564 del 30 settembre 1994 sia illegittimo perche' in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione e chiede pertanto all'adita commissione l'annullamento dell'impugnato provvedimento fondato sulla norma anzidetta. D i r i t t o Il principale ed assorbente motivo di annullamento contenuto nel ricorso n. 1372/96 proposto dalla S.r.l. Graniti Sassomare concerne la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564. Questa commissione ritiene che la sollevata questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2 del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564 per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione non sia manifestamente infondata e che pertanto il giudizio non possa essere definito se non previa risoluzione della questione stessa La questione appare di evidente rilevanza atteso che investe l'applicabilita' delle norme sospette di incostituzionalita' al rapporto tributario controverso. Sull'applicazione di siffatte norme riposa la validita' delle proposte di accertamento formulate all'ufficio dalla ricorrente, e dalla validita' delle proposte discende la definizione del rapporto tributario conseguente alla avvenuta rettifica delle dichiarazioni reddituali presentate dalla ricorrente medesima. Ne' pare superfluo rilevare che l'oggetto del contenzioso e dell'impugnativa e' specificamente il provvedimento con quale l'ufficio imposte di Domodossola ha ritenuto inammissibili le proposte di accertamento con adesione, in presenza della causa ostativa prevista dalle norme in esame, di tal che' la sopravvenuta illegittimita' delle disposizioni in odore di incostituzionalita' determinerebbe l'accoglimento delle ragioni enunciate in ricorso dalla S.r.l. Graniti Sassomare all'ufficio di validamente formulare alla ricorrente le proposte di accertamento, ovvero di accettare la richiesta di formulazione avanzata dalla societa' Graniti Sassomare, per gli anni considerati. La questione appare non manifestamente infondata in virtu' delle seguenti considerazioni: va anzitutto premesso che nel sistema delineato dagli artt. 2-bis, 2-ter e 3 decreto-legge n. 564/1994, convertito in legge n. 564/1994, d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177 recante disposizioni per l'esecuzione del primo, l'istituto dell'accertamento per adesione rappresenta un diritto per il contribuente, e non un mero atto dicrezionale dell'ufficio impositore. L'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 177/1995 al quinto e ultimo comma, stabilisce infatti che qualora la proposta non sia pervenuta al contribuente questi possa chiedere all'ufficio di formulare la proposta. La richiesta ha effetto vincolante atteso che in tal caso l'ufficio provvede alla formulazione della proposta stessa, sempreche' non ricorrano condizioni ostative (tassativamente elencate dalla legge). In siffatto sistema, caratterizzato da un perfetto bilanciamento dei poteri dell'ufficio e dei corrispondenti diritti del contribuente, si inserisce un elemento spurio fonte di squilibrio a favore dell'amministrazione finanziaria, che preclude al contribuente l'accesso alla proposta di accertamento formulata o formulanda dall'Ufficio: tale elemento e' costituito non da a un fatto oggettivo, bensi' da un mero apprezzamento soggettivo e piu' precisamente una valutazione giuridica che lo stesso ufficio impositore effettua circa la sussumibilita' di elementi, dati e notizie in suo possesso, ad un'ipotesi di reato rientrante fra le fattispecie criminali contemplate dagli articoli da 1 a 4 del decreto-legge n. 429/1982. In particolare la norma denunciata configura ed elenca, quali condizioni ostative della proposta di accertamento con adesione del contribuente, una serie di circostanze che di per se' non costituiscono prova dell'esistenza di una responsabilita' penale ma rappresentano semplicemente l'aspetto e la fase prodromica del procedimento penale: in particolare va sottolineato come la prima di tali circostanze sia rappresentata dal fatto che l'ufficio finanziario sia in possesso di elementi, dati e notizia sulla base dei quali esso ritenga configurabile l'obbligo di denunzia penale. Non v'e' chi non veda come la definizione del rapporto tributario venga a dipendere in tal caso dalla valutazione estremamente soggettiva, e non rientrante nella sua specifica competenza, dell'ufficio tributario circa la sussistenza degli estremi di un reato, laddove invece 1'a.g. raggiunta dalla notizia di reato, potrebbe ritenere non ravvisabili estremi di reato, anche sotto il mero profilo dell'elemento soggettivo. La norme di cui all'art. 2-bis, c.p.v. decreto-legge n. 564/1994 appare dunque in contrasto con la presunzione di innocenza stabilita dall'art. 27, c.p.v. della Costituzione quantomeno nella parte in cui preclude ineluttabilmente al contribuente di accedere, aderendovi, alla proposta di accertamento che all'ufficio e' peraltro inibito di formulare in presenza delle cennate condizioni ostative anche nell'ipotesi in cui la notizia di reato risultasse successivamente infondata, ne' prevede un meccanismo in virtu' del quale sia consentito all'ufficio di riformulare la proposta di accertamento una volta caduta l'accusa nei confronti del contribuente. Il contrasto con il principio della presunzione di innocenza si risolve in una deteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento, e quindi anche in una violazione della norma di cui all'art. 3 della Costituzione, fra coloro che beneficiano della proposta di accertamento formulata dall'ufficio impositore e quegli altri contribuenti che, pur potendone astrattamente beneficiare, si vedono preclusa definitivamente, in quanto inammissibile, anziche' solo improcedibile, la definizione del rapporto tributario nelle forme del "concordato" a causa di una valutazione operata dall'ufficio stesso, che abbia ravvisato l'obbligo di rapporto penale, ovvero a causa della presentazione di un rapporto da parte della Guardia di finanza o a causa dell'avvio di un procedimento penale non seguito da condanna penale irrevocabile. Occorre esaminare peraltro se la condizione ostativa in esame, che pone una deroga ad un beneficio di carattere universale, applicabile incondizionatamente ad una generalita' indiscriminata di contribuenti, sia giustificabile alla stregua del sistema in cui essa si inquadra, tenuto altresi' contro di eventuali precedenti normativi. E' noto che il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione e che esige uguale disciplina normativa in situazioni uguali, puo' e deve tollerare deroghe legittime soltanto se queste trovino giustificazione, e quindi ragionevolezza in altri principi ed interessi costituzionalmente garantiti. Nel caso di specie l'esigenza, che appare sottesa alla norma sospetta, di escludere dalla proposta di accertamento assimilabile ad un condono tributario, coloro che siano in predicato di essere sottoposti a procedimento penale per gravi reati di natura finanziaria, confligge con altra esigenza, costituzionalmente tutelata dalla norma di cui all'art 27, comma 2 della Costituzione, di impedire che l'imputato riceva danno, anche solo alla propria immagine, dalla pendenza, e durante tutto il corso, del procedimento penale, sino a che la sua colpevolezza non risulti affermata da una sentenza irrevocabile di condanna. Alla luce di tale principio non e' chi non veda come l'irrevocabile esclusione dal c.d. concordato di massa, che per definizione dovrebbe essere aperto ed allargato all'intera massa dei contribuenti, di chi soltanto in forza di dati ed elementi in possesso dell'ufficio finanziario di un reato tributario, non puo' non contrastare con quell'esigenza, avvertita dal legislatore costituente, di sancire il principio della presunzione di innocenza dell'imputato. La condizione ostativa in commento rappresenta un innovativo ma incomprensibile "giro di vite" nel variegato panorama dei provvedimenti di clemenza tributaria succedutisi negli anni successivi alla riforma tributaria del 1972/73. Gli articoli da 14 a 35 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429 non prevedevano alcuna condizione ostativa alla definizione del rapporto tributario che, nella previsione legislativa, avveniva mediante presentazione di una dichiarazione integrativa. Neppure era previsto nel decreto-legge in oggetto che la definizione avesse incidenza ed effetti sulla pendenza dei provvedimenti penali in corso ma al testo in esame venne affiancato un coevo decreto presidenziale (d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525) che espressamente prevedevva la concessione di amnistia per i reati tributari commessi fino al 30 giugno 1982, subordinatamente alla condizione dall'avvenuta presentazione della dichiarazione integrativa prevista dal decreto-legge n. 429/1982. L'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 525/1982 disponeva la sospensione dei procedimenti e la sospensione dell'esecuzione penale delle sentenze di condanna fino alla scadenza dei termini per presentare le dichiarazioni integrative. Il meccanismo cosi' prefigurato dai due testi normativi lasciava chiaramente trasparire l'intendimento del legislatore di individuare nell'avvenuta definizione del rapporto tributario, a mezzo della domanda integrativa con la quale il contribuente riconduceva i propri redditi dichiarati nell'alveo della congruita' fiscale presunta, una causa di estinzione anche del fatto-reato tributario, inteso come estrema sanzione conseguente l'evasione fiscale in senso lato e che, una volta raggiunta la definizione del rapporto attraverso i meccanismi di legge, non aveva piu' alcuna ragione di essere perseguito dalla norma penale. La situazione inizia ad evolversi (ovvero, a seconda delle diverse prospettive di politica fiscale-criminale alle quali si voglia aderire, ad involversi, verso forme piu' restrittive con la norma di cui all'art. 68 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 il quale, pur prevedendo un sistema procedurale analogo a quello dianzi esaminato, delego' il Capo dello Stato a stabilire che l'amnistia non si applicasse ai condannati per i delitti di cui agli artt. 416-bis, 648-bis, 648-ter c.p., e via dicendo, che tuttavia non hanno natura di reati tributari: la norma che si commenta, pur se dettata da ragioni di natura extra-tributaria faceva pur salvo il principio della presunzione di innocenza dell'imputato in quanto escludeva dal provvedimento di clemenza i "condannati" con sentenza definitiva, come si argomenta dal tenore del capoverso dell'art. 68. L'eccezione alla regola dell'applicazione generalizzata del concordato alla massa dei contribuenti, stabilita dall'art. 2-bis del decreto-legge n. 564/1994, non e' pertanto in sintonia con le linee e con la ratio del sistema, imperniato sulla incentivazione del contribuente, nessuno escluso, alla definizione delle pendenze tributarie e su di un meccanismo che comporta necessariamente, proprio in virtu' di tale incentivo, oltre alla definizione del rapporto tributario conseguentemente anche l'estinzione dei reati collegati alla violazione delle norme sostanziali miranti a reprimere l'illecito finanziario. In siffatto contesto l'esclusione di taluni contribuenti dalla definizione concordata del rapporto con l'amministrazione finanziaria, aggravata dal mancato rispetto del principio, costituzionalmente tutelato, dalla presunzione di innocenza, non risulta coerente con la ratio del sistema e sembra piuttosto il frutto di scelte irrazionali ed emotive, ispirate ad un giustizialismo fine a se stesso. Non pare, dunque, manifestamente infondata, e se ne rimette la conseguente decisione alla Corte costituzionale, a' sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 per ravvisato possibile contrasto con gli artt. 3 e 27, comma 2 della Costituzione laddove stabilisce che la definizione non e' ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell'ufficio, e' configurabile l'obbligo di denuncia all'a.g. per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 del decreto-legge n. 429/1982 e quando per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o risulta avviata l'azione penale, senza prevedere che l'ufficio debba riformulare la proposta di accertamento qualora, su segnalazione dell'a.g. penale ovvero del contribuente, risulti archiviato o altrimenti definito con sentenza di proscioglimento o di assoluzione, il procedimento penale avviato a seguito del rapporto dell'ufficio o della Guardia di finanza o comunque incardinato sulla base di una notizia criminis comunque acquisita dalla competente procura della Repubblica.